L'aula civica

Questa sala, collocata al piano nobile, già Sala della Vittoria nell'originario allestimento museale, era la sala del Maggior Consiglio della Comunità di Ceneda.
Sotto il dominio austriaco, tra il 1842 ed il '44, venne completamente rivestita di scene storiche, opera del pittore Giovanni De Min, bellunese di nascita, e Paolo Pajetta (padre del più noto Pietro) per le parti decorative.
I temi della sala vengono descritti, per la prima volta, nel 1848, da Jacopo Bernardi, letterato cenedese che scrisse "L’aula Civica del Cenedesi con li suoi affreschi" nel quale narra sia i temi degli affreschi che la storia dei vescovi di Ceneda (copia anastatica del libro è stata ristampata nel 2014 ed è in distribuzione).

Soffitto. Incoronazione di S.M.I.R.A. Ferdinando I Re Del Regno Lombardo Veneto

Sul soffitto, l'incoronazione dell'Imperatore Ferdinando d'Asburgo a Re del Lombardo -Veneto è sontuosamente descritta da Giovanni De Min. Il tema viene trattato in modo identico alla “Gloria di Ferdinando I d'Asburgo”, coeva opera ad affresco che l'amico Francesco Hayez aveva realizzato a Milano per la Sala Regia, con alcune varianti di carattere compositivo e coloristico.

Al centro della composizione, assiso su un trono,  Ferdinando I d’Asburgo viene incoronato dal Genio dell'Austria, la figura alata e avvolta da un drappo a fasce bianche e rosse (i colori dell'Austria); sulla testa del sovrano aleggiano 4 stelle che contengono le iniziali degli imperatori più  importanti (Maria Teresa, Francesco I, Rodolfo I e Giuseppe II).  Alla destra di Ferdinando, la Religione, perfettamente centrale nel dipinto, richiama molto le rappresentazioni della Vergine.

Sulla sinistra della composizione troviamo la Pace e ai piedi i genietti di Arti, Industria e Commercio che giocano con serti di ulivo presi dal mazzo retto dalla Pace. Seduta, la Poesia con dietro Architettura, Scultura e Pittura (riconoscibili dagli attributi). A destra troviamo la Scienza, Agricoltura, Industria (regge un bastone con una mano in cima) e Commercio (vestito da pellegrino con ruota e ancora ad indicare i percorsi per terra e per mare). Davanti a loro la Forza, un robusto ragazzo con due feroci leoni che tengono a bada, sotto di loro, tre geni del male che stanno precipitando agli inferi.

L'imperatore è incoronato dal Diritto e dietro di lui i due geni abbracciati della Lombardia e del Veneto (riconoscibili per gli stendardi con i rispettivi simboli: il Biscione visconteo e il Leone marciano).

Sotto, la Giustizia, che protegge miseri e umili (anziani, donne e bambini) e davanti a lei la Clemenza che nasconde all'Imperatore i rei vergognosi, salvati dalla grazia che venne promulgata nel 1838 quando, appunto, venne incoronato Re del Lombardo Veneto.

Sotto la Giustizia c'è la Storia, che scrive gli annali del XVIII e XIX secolo e vicino alla Verità (con il sole e specchio).

Dietro, le moltitudini di Città del Lombardo Veneto che vanno a rendere omaggio al loro nuovo Re.

Ai lati dell'affresco centrale ci sono due dipinti a monocromo che raffigurano rispettivamente la Clemenza di Ferdinando che libera i rei dalla prigione e il Merito che incorona i cittadini meritevoli.

Parete nord. Sconfitta di Guecellone da Camino da parte del capitano del vescovo cenedese 8 giugno 1317

La grande scena di battaglia sulla parete nord narra la sconfitta dei Caminesi (signori di Serravalle e Feltre) che avevano tentato l'assedio del Castello di San Martino, storica residenza dei Vescovi di Ceneda. Era in carica al tempo Manfredo di Collalto, figlio di Rambaldo VIII conte di Collalto. L'esercito caminese, all'alba dell’ 8 giugno 1317 si porta davanti alle mura della rocca, ma non riesce a conquistarla, venendo quindi messo in rotta e sconfitto dall’esercito del Capitano del Vescovo. La scena mostra il momento della fuga e della ritirata di Guecellone da Camino, che esibisce le insegne dei Caminesi di sopra (scudo partito bianco/nero).

Il capitano vescovile è forse Adalgerio della Torre, ma non vi sono documenti che lo attestano.

Molto interessante la dinamica della scena, con molti eventi di dettaglio che diventano scene quasi isolate di sofferenza: uomini e donne sconfitti e trafitti.

Sullo sfondo sono raffigurati il Castello di San Martino, la Rocca (oggi in San Paolo al Monte) e le fortificazione di s. Eliseo (oggi San Rocco).

Parete ovest. Francesco Ramponi consegna i feudi caminesi ai Procuratori di San Marco – 12 ottobre 1337

La vicenda rappresentata sulla parete ovest si riferisce alla morte dell'ultimo Caminese di Sopra, Rizzardo VI Da Camino, nel 1335. Egli morì privo di eredi maschi, avendo avuto dalla moglie Verde della Scala tre figlie femmine, a cui era impossibile (in virtù della Legge Salica in uso presso la quasi totalità delle famiglie della nobiltà europea) trasmettere l’eredità del titolo e dei feudi. Compiendo un atto in aperta polemica con gli esponenti del ramo cadetto, i Caminesi detti “di Sotto”,  la vedova decise di riconsegnare le terre dei Da Camino di Sopra al Vescovo-Conte di Ceneda Francesco Ramponi (che era stato professor in un convento eremitano di Bologna, sua città natia). Nella turbolenta epoca in cui i Della Scala, i da Camino, i Carraresi lottavano per l’egemonia sul Veneto, il vescovo Ramponi decise di consegnare, in cambio della metà delle rendite, l’eredità di Rizzardo da Camino alla Repubblica di Venezia, che entrò così in possesso delle località di Serravalle, Cordignano, Valmareno e altri cinque castelli.  

La consegna ufficiale avviene nel palazzo veneziano della famiglia dalla Riva il 12 ottobre 1337.

Su un trono abbellito da uno stendardo che raffigura la Trinità è seduto il Vescovo con un abito bianco e bordure blu/viola. Davanti a lui sono presenti i tre Procuratori di San Marco: Marco Morosini, Marco e Giustiniano Giustiniani che si inginocchiano e ricevono l'investitura dal Vescovo tramite un anello, ma contemporaneamente giurano fedeltà ponendo la mano sui Vangeli.

Dietro il Vescovo si vede il Parroco di S. Andrea di Bigonzo di Serravalle, la chiesa pievanale. Ai lati dei servitori reggono le insegne pastorali e la spada (dominio del Vescovo Conte). Vicino, ancora, familiari e invitati illustri dei dalla Riva che ospitano l'evento. Davanti al vescovo tutti i testimoni all'episodio, tra i quali il notaio seduto che registra l'accaduto. In primo piano un servitore che reca, forse, un dono. Vicino alle finestre una coppia di amanti che si apparta e non è interessata a quanto accade.

Finestre in stile gotico fiorito si aprono su un cielo chiaro e si nota sullo sfondo il campanile di S. Marco.

Le modanature, i dettagli architettonici e gli abiti ci conducono al primo 1300, ma si trovano anche alcune inesattezze cronologiche, come le decorazioni nelle lunette lungo il soffitto, lo stile della Trinità e, soprattutto, il grande dipinto dietro il trono che raffigura Palazzo Ducale di Venezia nella sua forma quattrocentesca.

Parete est. Vescovo Guadalberto d'Auretil riceve la conferma dei benefici imperiali da Carlo IV a Feltre il 27 ottobre 1354

L’investitura temporale al Vescovo di Ceneda si deve all’imperatore Ottone I di Sassonia. Venne in seguito confermata dal figlio e successore Ottone II, da Berengario d’Ivrea e da Federico I, il Barbarossa.

Il pittore descrive quanto segue.

Nel 1354 Carlo IV, da poco eletto Imperatore del Sacro Romano Impero, scese in Italia per ricevere dal Romano Pontefice Innocenzo VI l’incoronazione, seguendo il precedente di Carlo Magno. Nel corso della sua discesa egli si fermò a Feltre, ove venne raggiunto da tutti quei nobili che vantavano investiture su feudi imperiali. Tra questi nobili omaggianti vi era pure il Vescovo Conte di Ceneda Gasberto da Orgoglio, che approfittò dell’occasione per avere la conferma dei diplomi emessi dai suoi predecessori e poter quindi attestare ulteriormente il proprio dominio sul territorio cenedese.

Appena fuori i confini di Feltre (si nota infatti  il cosiddetto “castello di Alboino”, e un palazzo nobiliare sullo sfondo), su un trono costruito sopra un piedistallo, sta assiso l'imperatore.

La scelta, in questo caso, di rappresentare un esterno, è dovuta al fatto che non si tratta di un evento privato, ma di una manifestazione pubblica, dove non è solo il Vescovo di Ceneda a far onori all'imperatore, ma anche molti nobili.

Il vescovo Gasberto  indica un diploma, che era l'antico documento di legittimazione e ne chiede conferma.  Una precisa gestualità dell’imperatore fa intendere che l’atto è stato confermato da Carlo IV.

Dietro al vescovo ci sono giovani chierici con simboli religiosi (croce, pastorale, vangeli) e quindi un soldato che regge uno scudo con lo stemma di Gasberto e la sua iniziale.

Dietro all'imperatore, invece, assistono i rappresentanti delle famiglie nobili del Veneto: il vescovo di Feltre con uno scaligero (riconoscibile dalla scala disegnata sul pettorale);  un carrarese; un estense; un visconteo e, isolato, un caminese di Sotto che guarda in modo sprezzante il vescovo ( il suo predecessore infatti aveva privato i Da Camino di Sotto del feudo di Serravalle, dandolo alla Serenissima Repubblica di San Marco dopo l’estinzione della linea maschile del ramo principale della Casata).

In primo piano due soldati, un po' distratti, e tre donne eleganti, di cui una che guarda gli armigeri con superiorità e protegge un fanciullo impaurito.

Dal balcone del palazzo sono affacciati molti nobili che assistono all'evento. La scena è probabilmente un omaggio a quella dipinta nella loggia sottostante dall'Amalteo nel XVI secolo (Giudizio di Daniele).

Attorno a queste scene e sulle restanti pareti sono dipinte, a monocromo, le virtù alle quali i consiglieri raccolti nella sala dovevano fare riferimento per un Buon Governo di Ceneda: Elezione del buono (rastrello e vaglio), Modestia (occhi bassi), Prudenza (serpe), Pace (ulivo e, rovesciata, la face della discordia), Fedeltà (cane e chiave), Silenzio (dito su labbra e oca che non gracida), Carità (bambini aggrappati), Diligenza (oriuolo a polvere e sprone), Sincerità (colomba, rostro con ramoscello ulivo), Costanza (colonna abbracciata come un eroe), Amor di Patria (gramigna simbolo della corona donata dal popolo romano a Quinto Fabio Massimo per la vittoria della Seconda Guerra Punica e fascia con nomi illustri di patria), Giustizia (spada e bilancia).

Lungo tutto il perimetro del soffitto, sono dipinti gli stemmi ed i nomi di tutti i Vescovi della Diocesi di Ceneda prima e Vittorio Veneto poi. E’ presente anche lo stemma di Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, che fu vescovo di Vittorio Veneto per oltre un decennio.