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Lo spionaggio nella Prima Guerra Mondiale

L’intelligence è lo strumento di cui lo Stato si serve per raccogliere, custodire e diffondere ai soggetti interessati, siano essi pubblici o privati, informazioni rilevanti per la tutela della sicurezza delle Istituzioni, dei cittadini e delle imprese. I primi passi dell'intelligence militare coincidono con l'Unità d'Italia quando, in occasione della Seconda Guerra d'Indipendenza, venne istituito nel 1859 un piccolo servizio informazioni dell'Esercito del Regno di Sardegna che agì anche dietro le linee austriache.  Lo spionaggio è una attività di intelligence, da sempre intimamente collegata alla guerra, la cui organizzazione crebbe a poco a poco con l'evolversi dell'arte della guerra. Al colonnello Ercole Smaniotto, capo ufficio informazioni truppe operanti della terza armata, spetta il merito di aver fondato, durante la Prima Guerra mondiale, la "Giovane Italia". Essa fu la prima rudimentale organizzazione di spionaggio su piano internazionale che aveva l'obiettivo di stabilire dei centri informativi in due importanti punti strategici, a Vittorio e a Pordenone. L’Italia aveva le proprie “spie” e visse, come gli altri Paesi in guerra, un momento di necessaria organizzazione o riorganizzazione della propria guerra “segreta”. Mentre l'Austria intensificava la sua opera di spionaggio verso l'Italia, questa era ancora arretrata su tal fronte e col fiato corto rispetto alle potenze in campo in quegli anni.  La scelta di scendere in guerra costrinse lo Stato Maggiore dell’esercito ad organizzarsi in fretta contro l’Austria, anche con la “guerra segreta”. I più adatti a questo compito erano sicuramente i fuoriusciti trentini, quelli cioè che, abitando nella Trento austriaca, nostra nemica, fuggirono in Italia per poter combattere a favore dell’annessione della città all’Italia. Furono proprio loro a permettere di costituire un importante servizio di intelligence. Dopo essere state filtrate, le informazioni venivano passate al comando della prima Armata che aveva sede a Milano. I trentini riuscirono a operare così intensamente da dare origine al Centro Informazioni di Verona, che aveva sedi in Veneto, in Friuli e a Brescia. Ormai gli uffici italiani di informazioni segrete stavano diventando sempre più organizzati ed importanti, riuscendo a ottenere rilevanti risultati bellici. La principale tecnica di spionaggio italiana era il colombigramma, metodo già impiegato sul fronte francese dagli alleati e dai tedeschi. I colombi viaggiatori, dati in dotazione ad ogni velivolo quando usciva in missione, alloggiavano in piccole cassette di vimini intrecciati. Una di queste cassette é conservata qui, al Museo della Battaglia, nella “Sala dell'occupazione” al primo piano. Questo cestino venne trovato nel 1918 a Fais Borgo Ulivi, dalla famiglia Segat. All’epoca dell’invasione conteneva due piccioni viaggiatori gettati con paracadute da un velivolo italiano e consegnati all’allora Tenente Alessandro Tandura, per la sua missione in territorio invaso. Un uso continuativo e molto importante dei colombi viaggiatori iniziò a diffondersi subito dopo l’offensiva italiana di fine giugno 1918 quando, ricacciato completamente il nemico sulla riva sinistra del Piave, si fece sentire urgente il bisogno di avere notizie precise sulle forze austriache. Per poter decidere se si dovesse o no proseguire in una azione offensiva, si pensò di inviare in campo nemico informatori che esercitassero e organizzassero lo spionaggio e mandassero notizie tramite “colombigramma” per mezzo di colombi viaggiatori. Si offrirono volontari il Cap. Gelmetti ed il Ten. osservatore Camillo De Carlo. Il tenente fu lasciato assieme al suo attendente a Pordenone ed eseguì quanto richiesto dal comando, inviando notizie dettagliate e precise. La notte stabilita per il recupero, il Capitano Gelmetti si recò sul posto convenuto con il suo apparecchio, ma scoperto e fatto segno a fuoco antiaereo, dovette rinunciare a compiere la missione di rientro. De Carlo, invece, fu lasciato in balia di se stesso e dopo lunghe peripezie riuscì a tornare nelle nostre linee coi suoi mezzi, guadagnandosi la medaglia d’oro a Valor Militare. Maggior successo ebbe il Tenente degli Arditi Alessandro Tandura, primo paracadutista in azione militare, paracadutato con un apparecchio di notte e per la prima volta in Italia presso Vittorio Veneto. Alcuni esempi di colombigrammi si trovano nella “Sala del mito”, al secondo piano del museo. Altre tecniche di comunicazione erano l'utilizzo di lenzuola stese in predeterminate aree e secondo un predefinito cifrario e il galleggiante. Quest’ultimo era un porta messaggi discoidale in sughero che aveva al proprio interno una cavità impermeabile nella quale venivano posti i messaggi, non sempre inerenti allo spionaggio. Trasportato dalla corrente del Piave, il galleggiante raggiungeva gli avamposti nel bassopiave e veniva raccolto dagli alleati.

Carlo Baxa

La famiglia Baxa era originaria di Lindaro, un borgo di Pisino al centro dell’Istria, dove esiste ancora oggi Villa Baxa e la località Baxa in cui aveva una tenuta agricola. Paesi a prevalenza italiana, che per un breve periodo erano stati sotto il dominio di Venezia. Dopo la pace di Cambrai del 1529, i veneziani dovettero cedere gran parte dei territori dell’Istria all’Austria. Gli italiani vedevano spesso le loro tradizioni sottostimate e l’Impero traeva beneficio dalle divisioni interne.

Carlo Baxa nacque a Pola il 29 marzo 1875 dal dottor Romano, ammiraglio medico, e dalla contessa Guglielmina, entrambi originari dell’Istria. Compì gli studi elementari, medi e superiori a Trieste. Prestò poi servizio militare come ufficiale degli ussari d’Ungheria, diventando un esperto cavallerizzo e ottenendo il ruolo di presidente di comitati ippici. Baxa fu un instancabile promotore ed animatore dell’italianità in Istria, a tale scopo si fece carico di due mostre per diffondere e sostenere il sentimento di italianità. La sua attività culturale inoltre risollevò l’economia della parte adriatica dell’Impero, ma la situazione cambiò con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Le entusiastiche manifestazioni di italianità cominciarono ad infastidire la popolazione croata e quella slava, tanto che cominciarono le zuffe e i tafferugli.

Baxa, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, aveva 40 anni e venne nominato comandante della piazzaforte istriana di Cattaro. Dopo la battaglia di Caporetto del 24 ottobre 1917, il fronte di guerra si spostò lungo il fiume Piave; presso Vittorio, l’esercito austro-ungarico fondò un Comando di Tappa, il cui comandante era Carlo Baxa. Proprio qui egli entrò in contatto con il giovane Pagnini (interprete dell’esercito austro-ungarico, nato il 19 marzo 1899 e morto il 9 novembre 1989), con il quale decise di aiutare gli italiani in territorio occupato attraverso lasciapassare e viveri. Egli inoltre rischiò la propria vita fornendo informazioni utili, riguardanti le disposizioni e le mosse dell’esercito austriaco a favore della causa italiana.

Le notizie passavano tramite un canale “top-secret”: Baxa-Pagnini-Troyer-De Carlo. Il traffico di informazioni così attivato allarmò il comando austriaco, tanto che, per fugare i sospetti, Baxa chiese il trasferimento a Gemona, con la scusa di avvicinarsi ai figli per seguirne l’educazione. Tuttavia anche dall’alto Friuli egli non smise di seguire la causa italiana e continuò a trasmettere missive, in seguito alle quali Tandura (caporale dell’esercito italiano, nato il 17 settembre 1893 e morto il 29 dicembre 1937) inviò ben 32 colombigrammi all’ottavo corpo d’armata italiano che marciava vittorioso alla volta di Vittorio Veneto.

Finita la guerra, Carlo Baxa riprese l’occupazione a Portorose dove continuò anche i suoi studi araldici dell’Istria. Nel biennio 1921-1922 divenne il direttore della “Commissione di Cura” e poco dopo pubblicò una nuova Guida, in italiano. Nel 1951 si trasferì a Merano dove morì il 29 Maggio dello stesso anno. Nonostante ciò che aveva fatto durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, alla sua morte non gli fu conferito il giusto riconoscimento.

Baxa quindi non ottenne alcun vantaggio dal regime fascista, a cui aveva aderito fin dall’inizio, e probabilmente il motivo fu la sua alta carica all’interno dell’esercito austro-ungarico.

A Vittorio Veneto Baxa rimase per pochissimi mesi, ma ricevette comunque un apprezzamento talmente positivo e unanime da parte di tutta la cittadinanza che gli venne dedicata una via.

Giacomo Camillo De Carlo

Giacomo Camillo De Carlo nasce a Venezia il 6 aprile 1892 da famiglia agiata. In gioventù vive tra Vittorio e Venezia, frequentando il Regio Liceo “Marco Polo”. A 27 anni si arruola nel 4° Reggimento Genova Cavalleria e diviene Caporale.

Nel giugno 1915 parte volontario per il fronte austriaco. Dopo aver ottenuto il Brevetto di Osservatore dall’aeroplano, si arruola nella 25^ Squadriglia “Voisin” e viene insignito di due medaglie d’oro ed una di bronzo al valor militare per il coraggio dimostrato ed il sacrificio offerto nelle operazioni di osservazione aerea.

De Carlo accetta poi di prendere parte ad una missione che gli varrà la medaglia d’oro al valor militare oltre che una fama pressoché mondiale. Il 30 maggio 1918 viene accompagnato per via aerea oltre la linea nemica, che coincide con il fiume Piave, per infiltrarsi da spia nei territori occupati e comunicare informazioni sull’esercito occupante all’esercito italiano. Con l’aiuto della popolazione e di importanti figure del territorio come Baxa, Pagnini e Troyer riesce a fornire al fronte italiano dati di enorme rilevanza, tanto che risulteranno fondamentali nelle vittorie italiane della Battaglia del Solstizio. Dopo più di un mese di spionaggio oltre le linee nemiche, De Carlo fa poi ritorno oltre il Piave il 13 agosto, via mare con un’imbarcazione di fortuna.

 Al termine della Prima Guerra Mondiale De Carlo viene nominato Segretario della Delegazione Italiana alla Conferenza di Pace di Versailles. In seguito si impegna in politica, aderendo al fascismo e ricoprendo la carica di Podestà di Vittorio Veneto. Negli anni ’30 e ’40 torna ad impegnarsi in attività di spionaggio in tutto il mondo per conto delle Forze Armate italiane. Dopo una vita estremamente movimentata ed irrequieta dove muore il 29 marzo 1968 nella sua dimora di famiglia a Serravalle.

Cesare Pagnini

Cesare Pagnini nasce il 19 Marzo 1899 da una famiglia di Pesaro arrivata a Trieste a fine ‘700.  Fin da giovane ha attitudine e curiosità per studi storici e all’età di dodici anni collabora con qualche giornalino.

Allo scoppio della guerra ha già frequentato il Liceo Classico e successivamente si reca a Graz per studiare Giurisprudenza. Nel 1917, compiuti diciotto anni, viene arruolato al fronte sulla linea che separa l’impero austro-ungarico da quello italiano. In seguito alla disfatta di Caporetto, poiché parla sia tedesco che italiano, viene inviato a Vittorio a quel tempo comando di tappa austriaco come interprete ufficiale del generale Von Below.

A causa del forte sentimento patriottico e irredentista, è sempre portato a perorare la causa italiana: parteggia per l’Italia, ma essendo triestino viene arruolato nell’esercito austro-ungarico. In particolare a Vittorio aiuta la popolazione liberando circa 200 prigionieri e passando informazioni ai tenenti Camillo De Carlo e Alessandro Tandura; compila a quest’ultimo un lasciapassare che gli permette di muoversi con più libertà. Numerosi generali e superiori sospettano il suo tradimento tanto che, quando l’esercito austro-ungarico deve ritirarsi, egli è costretto a nascondersi a casa dell’amico, nonché sindaco di Vittorio, Francesco Troyer, in attesa dell’esercito italiano.

Nel 1919 i cittadini di Vittorio gli conferiscono una medaglia d’argento al valor militare.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale chiede di arruolarsi in prima linea al fronte: viene colpito da una granata e rimane quasi cieco, è questo il motivo per cui gli viene conferita anche la croce al valor militare.

In seguito diventa podestà di Trieste nel momento in cui la città è occupata dalle truppe naziste e sulla frontiera i soldati di Tito spingono per conquistare la città. Dopo poco tempo Trieste è occupata dagli slavi e Cesare Pagnini viene arrestato per due volte con l’accusa di collaborazione col nemico: entrambe le volte viene scarcerato. Dopo ancora sessant’anni ci sono numerosi opinioni contrastanti sull’operato di Pagnini: è stato definitivamente scagionato da ogni tipo di responsabilità. I riconoscimenti ottenuti per la sua attività ricompensano le amarezze e le incomprensioni dei suoi cittadini.

Cesare Pagnini muore all’età di novant’anni, il 9 Novembre 1989.

Il Museo della Battaglia in memoria dell’ingegnosissimo Cesare Pagnini, conserva nella bacheca 9 (SALA DEL MITO) una serie di lettere che testimoniano il suo ruolo di spia.

Alessandro Tandura

Alessandro Tandura viene ricordato come uno degli eroi della Prima Guerra Mondiale per la missione svolta nel territorio di Vittorio (Vittorio Veneto dal 1923).  Seppur versasse in condizioni fisiche non eccellenti a causa delle ferite riportate negli anni di combattimento, dimostrò con i numerosi arruolamenti militari un grande senso di appartenenza alla patria e dopo aver ricevuto l’incarico della missione fece prova anche di un fervente coraggio nel mettere a rischio la propria vita pur di trasmettere preziose informazioni riguardo le mosse degli occupatori austriaci. Viene ricordato anche per essere stato tenente degli Arditi e primo paracadutista militare in azione al mondo.

Tandura nasce a Serravalle di Vittorio Veneto, il 17 settembre 1893 da una famiglia di umili origini, figlio del maestro Luigi e di Maria De Negri.

Si arruola volontario a 21 anni nel primo reggimento fanteria Sacile. Nel 1915 viene nominato caporale e durante i primi anni di guerra si procura una grande ferita sul Podgora. L’anno successivo dopo il ricovero richiede di essere assegnato alla 333ª Compagnia Mitragliatrici FIAT. Dopo un’ulteriore ferita e un lungo periodo di convalescenza si arruola nuovamente volontario nel XX reparto Fiamme Nere.

Nel luglio 1918 venne incaricato da Dupont (Capo Ufficio Informazioni) di svolgere un’ardita missione di spionaggio a Vittorio, sede del Comando della VI Armata austriaca.  La missione doveva iniziare il 9 agosto e durare fino al 30 settembre, quando sarebbe stato recuperato presso la confluenza Meduna-Cellina. Era stato incaricato di trasferire il maggior numero di informazioni recuperate riguardanti il nemico. I pericoli da affrontare nell’azione di spionaggio erano molti, poiché gli austriaci erano consapevoli della presenza di spie, ma non sempre le precauzioni per rimanere in incognito erano sufficienti. Reperire i messaggi era molto difficile e pericoloso, la tempestività nell’intercettarli era importantissima perché c’era il rischio che i contadini catturassero e mangiassero i piccioni senza comunicare il messaggio da loro portato. Inoltre era sempre presente il rischio di essere traditi, perciò le persone cui poter fare affidamento erano poche. Tandura fin dagli esordi fu assistito, oltre che dalla sorella Emma e dalla fidanzata Maddalena, anche da una buona dose di fortuna, grazie alla quale, dopo molte peripezie, riuscì a portare a termine con successo la sua missione.  

Tra i molti inconvenienti incontrati durante la missione ricordiamo l’atterraggio nel vigneto della canonica di S. Martino di Colle Umberto nonostante dovesse essere paracadutato nella zona di Sarmede. Dopo aver sotterrato il paracadute e la divisa indossa abiti da contadino.  Grazie ad una donna che gli offre asilo, riesce ad organizzare un incontro con la sorella e la fidanzata dandosi appuntamento il 16 agosto sul Col Visentin. Raggiunge poi Col Del Pel, luogo strategico dal quale si vedevano le ferrovie, le vie difensive e le teleferiche, dove si munisce di lenzuola da stendere per farsi localizzare.  Nel frattempo viene informato da Emma e Maddalena che gli austriaci per trasportare munizioni   da Vittorio a Belluno stavano costruendo una teleferica che grazie al suo intervento viene sabotata alla fine della missione. Nonostante il pericolo fosse elevato, per il desiderio di ricongiungersi coi suoi genitori, scende a Serravalle dove viene catturato e imprigionato. Riesce fortunatamente a scappare e a tornare al Col Visentin dove si incontra con Arduino dell’VIII Bersaglieri e successivamente con il tenente Cesare Pagnini (19 marzo 1899-9 novembre 1989) il quale gli riferisce che gli austriaci erano a conoscenza della presenza di spie italiane e che, messa una taglia sulla sua testa dopo aver dissotterrato il suo paracadute, gli davano la caccia. 

Viene catturato quindi una seconda volta, al termine della sua missione, ma gli austriaci non riconoscendolo lo lasciano insieme ai restanti catturati in condizioni pessime a Sacile. Riuscito a scappare saltando dal finestrino rotto del treno, dopo mesi in malattia, combatte nella battaglia finale sopra Longhere ostacolando la ritirata dell’esercito nemico.

Per questa impesa venne decorato di Medaglia d’Oro al Valore Militare al seguito della quale riesce finalmente a tornare dalla sua “truppa”.

La zona nel Museo della Battaglia dedicata agli eroi di Vittorio Veneto riserva uno spazio a Tandura, per ricordare il suo coraggio e l’onorevole azione di spionaggio che contribuì alla vittoria. Lo si ricorda anche per aver brevettato, con il ricorso del paracadute, un nuovo approccio allo spionaggio. Tra gli oggetti conservati nel museo nella teca a lui dedicata si trovano un libro contenente gli articoli di giornale che lo ricordano un anno dopo la morte, nappine, cappello, una giubba sahariana, un suo ritratto e una foto della moglie.