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  • Gelsobachicoltura e Museo del Baco da Seta

    Video realizzato dalla testata giornalistica QdPnews nel mese di giugno 2020 e dedicato alla gelsobachicoltura, in cui si parla anche del Museo del Baco da Seta di Vittorio Veneto.

Un museo, tante storie

I video seguenti sono stati realizzati in occasione del decennale del Museo del Baco da Seta, nel 2020, nell’ambito del progetto “Un museo, tante storie” curato dalla dott.ssa Elisa Bellato, che ha raccolto le varie testimonianze e le ha corredate dei testi di presentazione qui riportati.

Testimonianza di Domenico Dal Cin
Il detto dice “voia o non voia a San Marco ghe se la foia”. La festa del santo evangelista cade il 25 aprile, così dai primi di maggio tutte le famiglie contadine portavano a casa i bacolini da nutrire con le foglie di gelso ormai abbondanti. La loro presenza era talmente importante che il ricordo è vivo anche tra chi non li allevava, ma partecipava alla vita del borgo contadino. GUARDA IL VIDEO

Testimonianza di Mario Peruch, parte 1
Ci sono varie ipotesi sul perché venissero chiamati “cavaliér”, ma forse la più convincente è che i bachi fossero serviti e riveriti con grande riguardo, come dei cavalieri appunto. Portati a casa, erano curati con totale dedizione per circa un mese. La convivenza negli spazi limitati dell’abitazione contadina non era facile, ma era accettata in vista del guadagno garantito dalla vendita dei bozzoli. GUARDA IL VIDEO

Testimonianza di Angela Pizzinat
Come si diventava adulti in una famiglia contadina? Il lavoro poteva essere un gioco per i bambini del dopoguerra, un modo per sperimentare attività utili e atteggiamenti opportuni. L’autonomia laboriosa era una condizione essenziale e precocemente sollecitata in una società fondata su una economia senza sprechi né eccedenze. GUARDA IL VIDEO

Testimonianza di Sebastiano Baccichetti
Si parla di “furia” per descrivere la voracità dei bachi negli ultimi giorni, prima della fase in cui costruiscono il bozzolo. In effetti i 9/10 della quantità di foglia di gelso che serve per la loro crescita vengono consumati nell’ultima settimana. C’è chi dice che il rumore che producono le piccole mandibole allora sia simile a quello della pioggia durante un temporale. GUARDA IL VIDEO

Testimonianza di Carmelo Dalla Torre
Per avere un buon raccolto di bozzoli i bachi devono essere curati con grande attenzione. Sono soggetti a malattie e richiedono di essere ben alimentati e mantenuti al caldo; la temperatura ideale è di circa 23 gradi. La preoccupazione e la responsabilità del risultato dell’allevamento domestico era tutta al femminile e si poteva anche sbagliare. C’era ad esempio chi cercava di accelerare i tempi aumentando i gradi, ma era un rischio: “i gà scotadi i cavalièr”. GUARDA IL VIDEO

Testimonianza di Elio Peruch
La foglia di gelso non deve essere appassita o bagnata, e soprattutto deve essere pulita. I bachi da seta sono molto delicati e dei veri e propri indicatori ambientali, sensibilissimi alla presenza di inquinanti chimici. Nella casa contadina tradizionale a occuparsi dell’allevamento dei bachi erano le donne con l’aiuto dei figli anche piccoli e dei mariti che avevano il compito di procurare la foglia di gelso. Oltre al valore economico, per la madre di famiglia era motivo di orgoglio e questione di amor proprio ottenere dei bei bozzoli. GUARDA IL VIDEO

Testimonianza di Mario Peruch, parte 2
Mario continua il suo racconto ricordando come la quantità dei bachi da allevare era saggiamente calcolata in base alla disponibilità dello spazio in casa e della foglia di gelso. E l’oncia fino agli anni ’50 era l’unità di peso usata per acquistare il seme bachi (uova). Corrispondeva a 27/30 grammi e a circa 40.000 - 45.000 uova che venivano fatte schiudere nelle incubatrici delle strutture specializzate. I bacolini appena nati erano quindi portati a casa dai contadini che nel mese di maggio dovevano occuparsi però anche di molti altri lavori richiesti dalla campagna. GUARDA IL VIDEO

Testimonianza di Francesca Giordan
Francesca è entrata in filanda a 12 anni: troppo giovane per la legge, così durante i controlli si nascondeva nell’area caldaie. I ruoli erano ben distinti e tutta la responsabilità della qualità del filo di seta prodotto pesava sulle “mistre” (filatrici) che capitava sfogassero il loro nervosismo sulle giovani aiutanti. Le “ingropine” per esempio avevano il compito di riannodare i fili spezzati casualmente o magari anche volutamente dalla filatrice, quando questa si rendeva conto che c’erano delle imperfezioni. La filanda è stato un luogo di lavoro duro ma anche importante come opportunità di incontro tra donne che qui hanno trovato spesso una occasione di emancipazione dalla famiglia. GUARDA IL VIDEO

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